mercoledì 24 luglio 2013

scritture – devanagari

Tra il 240 e il 535 la valle del Gange e dei suoi afluenti si trova sotto il dominio della dinastia Gupta. La notazione sia alfabetica che numerica usata in questo periodo deriva direttamente da quella brahmi. La scrittura gupta progressivamente perde il carattere eminentemente geometrico e lineare del Brahmi, affinandosi e arrotondandosi nelle forme dei segni. Anche i numeri passano dai tratti relativamente dritti tipici della notazione brahmi, a tratti più morbidi e curvilinei. Dalla scrittura gupta si genera, verso il VII-VIII secolo, una scrittura detta Nagari e poi ribattezzata Devanagari per la sua bellezza e regolarità; tuttora in uso, è la principale scrittura con cui si trascrive il sanscrito e l’hindi (la lingua più diffusa dell’India centrale), oltre che numerosi dialetti (Marathi, Kashmiri, Sindhi, Nepali). Il Nagari antico (detto anche Gwalior) evolverà da una parte nel Nagari moderno e dall’altra in rami differenti come la scittura gobar, da cui deriveranno a loro volta le cifre arabe. Il nome “devanagari” significa “città degli dei” (nagara in sanscrito equivale a “città”). È un sistema di scrittura detto “abugida”, in cui ogni carattere rappresenta una consonante e una vocale; si tratta perciò di una scrittura sillabica. Ciò che contraddistingue il Devanagari è la linea orizzontale, detta matra, che collega tra loro sillabe e a volte anche parole, quasi senza interruzioni. al di sotto di questo vero e proprio braccio di sostegno, si organizzano tutti i caratteri, a parte alcuni segni vocalici che si estendono al di sopra di essa. Questa sua particolare conformazione (tuttavia non esclusiva delle scritture indiane; si pensi, ad esempio, alla scrittura ebraica tradizionale, che presenta anch’essa una linea guida orizzontale, il sirtut) conferisce ai testi scritti in Devanagari una notevole bellezza plastica.