martedì 11 giugno 2013

scritture – brahmi

Nell’India è stata consumata, attraverso i millenni, una gran varietà di scritture differenti: il greco portato da Alessandro Magno, l’aramaico, le scritture del Pehlevi e dell’Avestico usate da emigranti Parsi, scritture arabo-persiane e infine l’alfabeto latino portato da colonizzatori portoghesi e inglesi. Ritrovamenti di sigilli e amuleti con una scrittura geroglifico-fonetica di circa 400 segni testimoniano il fiorire di una civiltà pre-indoeuropea nella valle dell’Indo risalente al 2500 a.C., ma le prime iscrizioni in una lingua indiana attualmente nota e decifrata risalgono al 260 a.C. circa e attestano due tipologie di scrittura sillabica differenti: il Karosthi e il Brahmi. La prima sembra avere origine semitica, sia per la somiglianza di alcuni segni con quelli degli alfabeti fenicio e aramaico (introdotti nella zona forse dalla Persia), sia per l’orientamento da destra a sinistra, tipico delle lingue semitiche. Questa scrittura veniva incisa su pietra, ma anche su legno, pelle e carta; cadde in disuso verso il V secolo d.C. a favore del Brahmi, da cui poi si originarono le innumerevoli tipologie di scrittura rinvenute nella penisola indiana. La scrittura Brahmi (III secolo a.C.) deve il suo nome forse al dio Brahma, ritenuto suo mitico inventore; inizialmente era riservata alla trascrizione del sanscrito (lingua sacra parlata dai bra- mini dell’India nord-occidentale) nei testi religiosi. Il Brahmi è di origine ignota, forse fenicia, e conta 32 caratteri consonantici più le vocali “a” (la più ricorrente), “i”, “u” ed “e” e alcune notazioni vocaliche; si scrive da sinistra a destra ed è una scrittura molto semplice, dalla struttura geometrica e spiccatamente lineare. È tuttora in uso e nel tempo (a partire dal I secolo d.C.) si è evoluta dando vita a numerose scritture regionali, tra cui il Nagari del sud e il Pali delle zone orientali della penisola indiana.